venerdì 11 dicembre 2009

Don't stop dancing.

Cerchi il buio o pretendi la luce?

Ti sento.
Ti sento nei tuoi silenzi.
Ti sento nelle parole mai espresse, negli sguardi persi.
Ti sento negli occhi chiusi. Nei sorrisi accennati.
Nelle tue ali chiuse.

Senti forte il tocco della realtà, la senti lambirti i fianchi, stringerti la vita. Denti stretti e fiato corto. Senti premere il cuore che lotta per tenere il tuo ritmo. Le mani strette a fermarti il sangue. Il peso del suo divenire. Ti ruba l’aria che entra in circolo, ti segna il tempo.
Non farla ridere di te. Non deve, non può.
Sfuma il mondo quando si combatte da soli. Prende i sottili lineamenti di una velata emozione. Scivola tra la pause e le parole come luci nela pioggia, lasciando scie che non percepisci ma che incidono il tuo essere. Si veste di oscurità e cerca di baciarti.
E’ nell’oscurità che una parte di te cerca la luce, prendendo metri da quella che non vuoi essere, quella che nel buio cerca rifugio. Un riparo da un mondo che ha timore di affrontare, di ascoltare. Di vivere. Timore di vedere quella luce che pulsa, che è troppo bianca. Troppo calda.
Vittima e carnefice. Ingenua bambina che tende la mano ad una donna cresciuta in fretta, riflesso in cui decidi tu cosa osservare. Il profilo che decidi di mostrare.

Chi farai passare dall’altra parte del tuo specchio?

Custodisci come piccolo segreto, sussurrato ma mai espresso,il tuo centro caldo. Le tue geometrie morbide, i tuoi colori sfumati, la trasparenza dei tuoi gesti. Parti di un universo che tenta di bruciare, che grida nei tuoi occhi lucidi. Urla sommesso nei tuoi sguardi che cercano l’orizzonte, nelle tue spalle alzate, nel freddo delle sere d’un inverno che si prende i suoi tempi.

Conoscii i tuoi limiti, e sai superarli. Ne crei altri.

Tanti volti rischiarati dalla tua luce, troppi. Fanno male i sorrisi lontani, fili di rasoi che segnano la pelle, che troppo in fondo hanno colpito. Dove la tua anima prende raffinata forma di cristallo, fragile e fissa stabilità. Incrinato ma mai sporco. Dove tieni il passo a questo mondo che ti tira sempre indietro che ti allontana da te. Dove ti senti sempre troppo debole. Hai legato i tuoi desideri al vento affinchè nessuno possa vederli. Tenderai la mano e li afferrerai, li riprenderai quando sarai pronta. Quando sarai completa. Ma in fondo lo sai che non si può essere completi. Non è ciò che vuoi.

E troppe le volte che hai pregato, silenziosa nel tuo letto, cercando con le dita di strappare un pezzo di paradiso. Dannando le tue emozioni. Distruggendo te stessa. Lottando per sopravvivere. Cercando un posto che qualcuno ha tenuto caldo per te.
Ma fa sempre troppo freddo agli angoli della vita. C’è caos. Ci sono crepe su vetri.
E ci sono sempre troppe nuvole e il cielo non sembra così leggero come vuol farci credere. Non vuole tenerci, ci lascia ad un mondo fatto di contorni e di immagini spesse e gravi. Vuoi la leggerezza, pretendi l’armonia. Vuoi il vento.
Ci sono notti sempre troppo lunghe e sogni troppo grandi da abbracciare: Stelle appese ad un filo, cosi candide da illuminarti il volto, da riscaldarti le guance: Da rubarti una lacrima.
C’è sempre troppo da vedere. O troppo poco.


Ti sento ridere, lì dentro.

Ti sento piangere calde e lente lacrime. Serene.

Ti sento in un abbraccio mentre ti aggrappi per non cadere.

Ti sento aprire le tue ali. Avorio e nebbia.

Ti sento danzare immobile.




Avrai sogni. Speranze. Illusioni. Sangue in circolo nel ventre.


Avrai strade non percorse e scelte mai affrontate. Destinazioni troppo lontante. Mete non raggiunte. Viaggi da non dimenticare. E avrai montagne da scalare e mille soli all’imbrunire. Una luna troppo grande da guardare.
Avrai sorrisi e braccia strette, piedi nudi, labbra e solchi, linee da seguire con le dita. Pensieri sfumati tra il rosso e il bianco.
Avrai punti fermi, metri da quell’abisso che non vuoi guardare. Mani a cingerti, braccia a sorreggerti. Angeli e santi, peccatori e demoni. Avrai ali disegnate e lenzuola nel vento.
Brividi, sorprese. Calma.
Avrai vita da donare e da accogliere. Lacrime e calore. Ricordi da riporre e pensieri da tessere. Vita da scrivere.

E ora.
Fai entrare la notte, respira l’odore delle le stelle, spargi profumo.
Prendi quel che puoi, non tirarti indietro. Inondati di emozioni, di immagini chiare e vivide, di curve e colore, e tieni la speranza per te, rubane ancora. Segna ogni cosa, inventa nomi e dimentica, corri. Sogna sempre. Cambia.
Ama come si ama qualcosa di oscuro. Segretamente e intensamente.
E sorridi alla pioggia. Lasciati scorrere da essa. Lasciati baciare dalla sua delicatezza. Volgile lo sguardo. Lasciala correggere gli errori, smussare i tuoi angoli, limare i tuoi sensi.

E non smettere di danzare.

Max.

A te. Che sai. Che sei.

giovedì 12 novembre 2009

Il sentiero


Un centimetro. Un centimetro alla volta. Un misero, piccolo, insignificante centimetro alla volta.
Ci guadagniamo spazio così. Ci prendiamo il nostro angolo, stappandolo via dal mondo. Lo conquistiamo. Rubiamo un po' di vita. Prendiamo fiato.
Non importa quanto sia piccolo questo centimetro, paragonato all'immensità dell'universo.Non importa se non serve a niente. Ogni battaglia, ogni piccola vittoria è la tua personale vittoria contro il mondo. Il tuo passo in avanti. Il tuo ostacolo che lasci dietro te stesso.La tua paura sconfitta. Il tuo rimpianto dimenticato. La delusione affrontata.
La tua lacrima versata.

Abbiamo l'immensità dentro di noi e ci tocca il compito di percorrerla. Come vogliamo, dove vogliamo. Camminando, correndo, saltando o ballando. Riposandoci agli angoli, girando in cerchio. Cambiando strada.
Si, perchè ognuno di noi ha un sentiero. Abbiamo strade sconnesse, o calme, vicoli tortuosi o autostrade d'asfalto rosso. Traiettorie velate e dimenticate o voli d'argento in cieli dipinti, tunnel nel cuore della terra, sibilanti e virtuosi. Pesanti e soffocanti.
Dedichiamo la vita a imprimere le nostre orme su essi, vogliamo lasciare dei segni del nostro passaggio. Vogliamo arrivare alla fine e voltarci indietro. Vogliamo girarci e tornare alla partenza. Vogliamo andare oltre.
Oppure no.
Vogliamo uscire da quel sentiero, correre via, lasciarci alle spalle qualcosa. Non guardarci indietro. Allontanarci da un mondo vecchio e stanco, pieno di guidizi e rancore. Saltare nell'erba, correre nel respiro di un monsone, gridare in un'eco eterno. Vogliamo dimenticare. Morire e rinascere.
Vogliamo conquistare tutto. Prenderci il tempo, lo spazio. Dominare la vita. Vincere e perdere tutto. Sentirci importanti. Perchè lo decidiamo noi.
Le cose importanti son quelle che decidi che siano tali, a cui sarai tu a darne importanza. Non si parla di grattacieli da scalare o oceani da combattere. Qui non ci sono eserciti o imperi. Non ci sono favole.
Ci siamo noi con i nostri centimetri strappati. I nostri brandelli di cuore. I nostri sogni aperti.

Ci siamo noi e ci saremo. Sempre.


Siamo anni luce da ciò che vogliamo essere. Non vogliamo piacere, vogliamo vivere.


Max. E gli altri. Che scelgono.

domenica 6 settembre 2009

Un tempo per ogni cosa

Vi è un tempo per ogni cosa.

Ci sarà il tempo per sognare. Per volare. Momenti di ingenuità perduta rievocati nella nebbia. Angeli con ali di carta.

E ci sarà un tempo in cui saremo soli. Vivremo la solitudine nella nostra testa e sapremo sempre di essere a casa. O troppo lontani da essa.

E ci sarà il tempo per ricordare. Per ricordarci chi siamo e dove vogliamo andare. Ricordare che non ci vogliamo accontentare di ciò che ci vien dato. Ci sarà tempo per la nostalgia. Per l'odore dei campi in estate, per il sole negli occhi, per le note distorte e calme. Per i segreti sussurrati.

E ci sarà un tempo per ridere. Per gioire e scherzare. Il tempo in cui le pieghe dei nostri visi segneranno dolci valli contratte al suono sferzato di una risata. Il tempo in cui non saremo che fessure da cui filtra luce bianca. E vita.
Il tempo in cui rideremo dentro.

E ci sarà un tempo in cui piangeremo. Quando l'aria non avrà sapore e nelle narici avremo solo l'odore della pioggia. Avremo mani fredde a cingerci il viso e denti ad aprirci lo stomaco.
Sarà il tempo in cui conosceremo il dolore. Ancora e ancora. E sarà sempre la prima volta.

E ci sarà il tempo per crescere, per capire e comprendere che il passato è solo un vento che ti carezza le spalle e ti indica la via da seguire. Il tempo in cui le ferite rimarginano. La pelle ricresce.

E ci sarà il tempo per parole difficili da pronunciare. Per sguardi fissi e labbra strette. Per rabbia e pena. Per destini perduti, momenti non vissuti. Per futuri rimpianti.

E ci sarà il tempo in cui dovremo scegliere. E ci saranno bivi sempre troppo bui, e strade troppo strette. E sceglieremo di sbagliare.

E ci sarà il tempo per combattere. Lottare contro noi stessi. Affrontare l'oscurità e la paura senza poter fuggire. Vedere quale maschera indossiamo e farla in pezzi.

E ci sarà il tempo per essere tristi. Poseremo i nostri cuori segnati in luoghi lontani e non conteremo più le miglia che ci separano da esso. Cercheremo il buio e la calma. Sarà il tempo delle risposte.

E ci sarà il tempo per cadere, per crollare. Riponendo la fiducia lacera, nascondendo il rancore sentiremo la speranza. E ci saranno le mani degli amici a tirarci sù, e il loro calore a farci camminare.

E ci sarà un tempo per ricominciare. Di nuovo. Scriveremo capitoli dell'esistenza, pagine nuove a cui legarci. Sorrisi diversi, odori sconosciuti e sentimenti sopiti. Legami ripresi e spezzati. Brividi e scoperte, vivide sorprese. Persone da conoscere. Chilometri da percorrere. Vita da vivere.

Ci sarà il tempo per l'Amore.


Max. Per cui è arrivato il tempo.

martedì 18 agosto 2009

A colui che Vive.

Fredde parole soffocano in gola. Sono simboli di enunciati mai espressi, nati per gioco, cresciuti come pensieri non voluti. Ma esistono. Legati a corde che farai fatica a trattenere. Non per mancanza di forza. Nè di volontà. Ma per scelta.


Quante volte hai riflettuto? Quante ancora lo farai? Sentirai ancora il peso della notte, solitario demone in un inferno ora abbandonato. Mille volte e mille ancora ne hai rubato l'essenza, immobile tra le pieghe del suo buio, mentre nel ventre, di rabbia ricolmo, le urla silenziose ti laceravano le membra. S'increspa il mondo, quando nella mente la solitudine diviene la tua casa. Prende forme strane, origami spettrali che danzano con te, in quel posto che per noi sovrasta il mondo intero.
E' nel buio che nascondi dettagli e geometrie che solo la luna può rivelare, e ad essa, persino alle volte, ritrai lo sguardo. Non per paura e neppure timore, ma per rispetto.
Celi a te stesso, dietro maschera tetra e candida, le tue debolezze umane, per non perdere metri da quel mondo che corre sempre troppo veloce. E che vorresti fermare. Almeno per un po', almeno per qualcuno.
Hai pronunciato parole alle stelle, desideri nascosti, briciole di esistenza, sperando che ti ascoltino. Figurati se le stelle non sanno ascoltare, o se non hanno odore. Ma forse, ti dirò, le stelle mentono.
Perseveranza e valore. Tanti colpi ricevuti, troppi. Fanno male sottopelle, sotto le ossa, dove l'anima sopisce ma non rallenta mai il suo battito. Dove la rabbia diviene forza. Impulsiva. Non sempre lascia segno il dolore, per chi non vede oltre il vitreo riflesso di sè.
Sono tracce, cicatrici e ferite. Medaglie di guerre a cui non vuoi partecipare ma che combatti. E rimani in piedi. Sopravvissuto alla battaglia, domandandoti il perchè non hai il diritto di cadere. Non puoi cadere.
Conosci le regole e sai infrangerle. Ne costruisci.
E sai fin troppo bene che non ci sono angeli da queste parti, che non vedremo avoree ali ma solo caos. Il nostro inferno è qui, ci attende giorno per giorno. E se c'è un Dio, forse non gli piacciamo affatto.

Darai ancora te stesso a chi saprà accettarlo. A chi ne sentirà il bisogno. Saprai di sbagliare ma continuerai. Cento i fianchi che cullerai, mille i capelli tra cui volteggiare le dita. Astratte figure disegnerai su ventri soavementi assopiti al leggero ritmare del respiro. Scivoleranno le mani come su un piano, a formare melodie sconosciute. E tante le sere in cui il tuo braccio cercherà nella seta, ignaro, e riposerà nel vuoto delle pieghe.

E ci saranno albe. Soli. Mille viaggi nel vento. Sabbia che turbina nei vestiti, pioggia che bagna le spalle. Orizzonti troppo vicini e lune troppo fioche. Nuvole sempre bianche. Sorrisi e lacrime di chi ti sta accanto. E ci sarà sangue, e nervi. E delusione. Soddisfazione e trionfo. Amarezza. E ci sarà calore.

Giocano, sibilline ora nella tua bocca quelle frasi. Appese a fili che dondoli. Nate da ciò che porti dentro.
Romperai il silenzio.
Impugnerai il Re per dare Scacco, o per terminare la tua partita.

Max. Ad una persona speciale, in un momento difficile.

L'amore non è...

L’amore è una pazzia temporanea, erutta come un vulcano e poi si placa.
E quando accade, bisogna prendere una decisione. Devi capire se le vostre radici si sono intrecciate al punto da rendere inconcepibile una separazione.
Perché questo è l’amore.
Non è l’ardore, l’eccitazione, le imperiture promesse d’eterna passione, il desiderio di accoppiarsi in ogni minuto del giorno.
Non è restare sveglia la notte a immaginare che lui baci ogni angoletto del tuo corpo.
No, non arrossire, ti sto dicendo qualche verità. Questo è semplicemente essere innamorati, una cosa che sa fare qualunque sciocco. L’amore è ciò che resta quando l’innamoramento si è bruciato.

(“ Il mandolino del capitano Corelli” – Louis De Bernieres)

Ti hanno mai parlato dell'amore?

L'amore ha il profumo di un'alba o della pioggia di Novembre. Ho l'odore del fumo di un cerino spento, ma che procura calore. Si veste di bianco. Cambia, e cambia. Ha tormento e dolore, ha leggerezza.
Non avere timore, il timore è per coloro che non riescono a vivere. Lo riconoscerai. Quando la sensazione della sua pelle non ti darà quel brivido d'estasi, ma la certezza di un posto nel mondo solo per te.
Tieni qualcosa per te stessa. Basterà quel che dai di te. Lo sentirai, è abbastanza. Non privarti e non farti privare. Non lasciare promesse e illusioni. E' cibo per gli ingenui e i sognatori. E' veleno per tutti.
Non sarà la ricerca continua e disperata, ma una consapevolezza. La certezza di risposte silenziose a domande che non hai mai posto. Non è ciò che provi quando ti sanguina l'anima. Non è la prigione da cui evadi.
Non cercare affannosamente il ricordo dei tuoi sogni. I sogni sono il contorno della realtà. Lasciali sfumare. Perdili.
Non saranno fiori che sbocciano, ma la cadenza dei petali a segnarti.
Non un colore mai visto, ma una tonalità che non hai apprezzato.
E se negli occhi suoi ne vedrai la luce, ancor lontana sarai da esso, cerca piuttosto il buio che si cela dietro.
Non è il salto, ma il passo. Non l'urlo ma il silenzio.
Non è l'assenso, ma la negazione.


Perchè confondersi è semplice. Fin troppo.
E alle volte sappiamo, ma non vogliamo vedere.
O sentire.


Max. Che ha amato. E amerà.



mercoledì 22 luglio 2009

Instabile

Instabile. Incoerente. Perso oltre il sottile velo della comune logica.
Lontano anni luce dalla perfezione di un mondo virtuale. Dalle sue geometrie salde, dai suoi numeri sempre pari. Dall'ordine che ritaglia un posto fisso ad ogni cosa.
Instabile.

Corro su cornicioni di giganteschi grattacieli, titani di un mondo che prende vita nella mia testa. Mi inondo di frastuono, e suoni di voci lontane. Mi chiamano, mi cercano. O sono io a cercare loro.
C'è troppa luce. La luce fa chiarezza, da stimolo e vita. Ma alle volte cerchiamo il buio. C'è bisogno di non percepire la realtà, di lasciar scivolare il mondo oltre l'orlo della ragione. Solo così puoi davvero vederlo. Butta via la consapevolezza, le tue certezze, le tue manie ossessive. Lascia precipitare la razionalità, vedine gli spigoli spezzarsi contro la parete morbida della follia. Abbandona la sicurezza, salta il recinto, guada il fiume, oltrepassa la ragione.
Dimentica gli angoli.
Vestiti di rosso, e corri oltre lo specchio. Cogli tutto e non fermarti a guardare. Segui il sentiero non segnato. Sorridi a chi non ti vede, ridi a chi ti evita. Corri.

Non so quanto IO sia da una parte del mondo, e quanto sia dall'altra. O dalle altre. Permettemi di nutrire qualche dubbio. I dubbi sono passi evolutivi. E come tali li prendo.
Cerco sempre di fare dei passi. Non mi interessa la direzione, nè la meta. Colgo ogni occasione per fare un passo. Avanti, indietro. Termini che non hanno più significato. Diventano successione di lettere a cui tolgo coerenza. Se mai ne hanno avuta una.

Vedo la realtà e percepisco altro. Filtro il mondo attraverso esperienze mai avute, sogni consistenti che rivivo. Scelgo di non riconoscere il limite tra le due, lascio che si sovrappongano, che si contaminino, che allunghino braccia e prendino ciò che serve. Io resto a guardare.
Penso di essere sempre troppo lontano da uno specchio.
Penso che tramite esso vedrei ciò che non voglio. Un mondo reale.
Penso. Penso. Penso.
Cogito ergo sum, direbbero alcuni. E qui mi sorge un ulteriore dubbio. (Faccio passi avanti o indietro?) Il pensiero è dato dalla ragione, mi assicurano. E se così fosse, se non pensassi, se smettessi d'un tratto di dar fiato alla ragione, smetterei d'esistere?
E se penso, ragiono, e quindi esisto, chi mi può garantire la certezza che esisto per quel mondo che cerco? Non esisto solo nelle realtà in cui voglio? In quelle che cerco, che desidero?
Decido di esistere. Dove VOGLIO IO.
Perchè è giusto. Perchè è sbagliato. Perchè lo decido io.

Voglio creare sentieri onirici da percorrere, e prendere ad ogni bivio entrambe le strade.
Voglio vivere nell'incertezza costante.
Voglio guardare ogni cosa come se fosse la prima volta.
Voglio avere la meglio sui miei errori, e sulla mia esperienza.
Voglio sentire il mondo attraverso i miei occhi. Assaporarlo a tratti. Strapparne brandelli.
Voglio ricordare e dimenticare.
Voglio cadere. Morire. Risorgere.
Voglio prendermi gioco di Dio, e ridere di lui. E con lui.
Voglio sbagliare, e farmi male. Sentire il dolore.
Voglio ridere. Di tutto. Di me.
Voglio avere paura e allungare la mani per cingerla.
Voglio percorrere strade al rovescio, camminare a testa giù.
Voglio toccare le stelle. Sentirne la voce.
Voglio dare tutto me stesso.

E alle volte sono tutto l'opposto di ciò.

Instabile. Incoerente. Imprevedibile. Quando capirete che un nome, un segno, uno specchio non rendono reale ciò che vedete, allora avrete fatto un passo.
La meta la lascio scegliere a Voi.


Max, che è tutto. E nulla.

Img tratta da Deviantart.com

lunedì 11 maggio 2009

On the river.

Non vogliamo affondare.
Sbattiamo le mani, agitiamo le nostre braccia e sbattiamo incostantemente le gambe per non cadere a fondo. Siamo certi che più ci muoviamo e più abbiamo possibilità di rimanere a galla, di respirare l'aria.
Una corsa psicologica finalizzata nel cercare un modo di restare 20 cm sopra la superficie effimera dell'acqua. Ci agitiamo.
Siamo convinti che questo è l'unico modo per restarne fuori, per assicurarci una piccola chance di futuro, puliti, asciutti, sani e belli, forti e vigorosi. Possibilità di stare calmi, tranquilli senza continuare ad agitarci, a dimenare il corpo in virtuosi balli goffi e senza senso. Potremo poi riposarci, che ora siamo stanchi. Dobbiamo solo continuare a roteare le braccia.
Prendi una boccata d'aria.
Si scende in apnea. Attendi, dimenati. Ritorna su e ansima. Scalcia.
Non è tempo per stare fermo.
Il flusso ci puo trascinare in parti di noi che non vgoliamo conoscere, in luoghi che preferiamo tenere chiusi, freddi. Ci opponiamo al flusso. Odiamo la corrente. Siamo assuefatti alla calma. Abitudinari cronici che rivogliamo l'aria, l'erba e il sole.
Non ci piace laggiu, siamo corpi freddi a cui serve calore. E lì non ce n'è.
O almeno ne siamo convinti.
Siamo convinti che ciò che ci trascina, che ci vuole a sè, sia qualcosa a cui dobbiamo scappare, a cui dovremmo fuggire con foga. Vibriamo se la sentiamo vicina. Tremiamo se ne siamo immersi.

Braccia stanche. Gambe deboli, Fiato corto.
Ci abbandoniamo al flusso, respiriamo l'acqua e affondiamo.
Mi è sempre piaciuto lasciarmi percorrere da sensazioni, lasciarmi andare a brividi, trascinare da lievi sussulti. Ecco perchè preferisco affondare.
Non sono stanco. Non ho finito di lottare.
Voglio sentire adagiarsi il fondo alla mia schiena, sentire che il mondo mi accarezza con forza. Sentire il freddo scaldarmi il cuore.
Non respirare con la bocca, ma sentirmi l'aria circolarmi da dentro, nascere in me.
Aprire gli occhi e vedere il cielo distorto, il sole divenire un ovale sbiadito, troppo lontano da un Dio che forse non ci vede più.
Forse è solo questo che va fatto.


Max. Foglia nella corrente.

mercoledì 29 aprile 2009

Veleno.


Veleno.

Veleno nel sangue.







Vengo contaminato. Cerco di purificarmi l'anima e la mente e vengo contaminato. Nero veleno che mi pervade.
Leggo delle parole vuote che strisciano su sentieri digitali, comunione di semplici caratteri a forma di bit. Parole fredde, nette che compongono frasi a cui devo dare un senso. A cui IO devo dare un senso personale, che devo metabolizzare, elaborare e capire.
Scorrono scure alla luce fredda che accarezza una notte chiusa fra quattro mura sterili.
Mi scorrono sul viso, nel riflesso della mia ombra su uno specchio scheggiato, a cui fatico a rimettere i pezzi insieme. Dove i frammenti non combaciano mai.
Tento invano di seguire un ordine nel caos che mi si rivela di fronte. Cause e conseguenza, azioni, pensieri, rimorsi e piacere. Dolore. C'è sempre dolore per me, almeno questa rimane una costante invariata nel tempo.
CHiudo gli occhi mentre le immagini invadono la vista, al suono di un silenzio troppo forte per me ora. Labbra serrate al pari di mandibole strette, mani che fermano il sangue in circolo. Troppo veloce. Ricordo di avere avuto voce un tempo, ora non emetto rantolo alcuno. La parole si moltiplicano. Piani che si creano, piani su piani di frasi, parole e lettere, una sull'altra si sormontano, mi coprono.
Entra in circolo nel corpo. Veleno nero come la notte che mi snobba. Come la luna che dal cielo ride di me. Come la città che mi tiene le distanze. Come la vita che mi sputa in faccia.
Sento punte nella carne.
Vibrazioni nello stomaco.
Mi sale il vomito.
Urlo in silenzio. La rabbia mi serve, l'ira è preziosa. Incanalo in quella sfera densa e vibrante che sento al centro del diaframma tutte le sensazioni. La sento crescere velocemente. Vibro. Ancora e ancora.
Saltano cardini a cancelli arrugginiti, turbine d'emozione negativa, visione sovraesposta del mondo, consapevolezza di certezze che sopivano, tarli che fuoriescono. Esplosione statica dell'Io.
Radici vermiglie nel bianco prendono e rubano spazio, infiltrano parassitariamente le loro estremità nel profondo, si radicano, si espandono. Veleno. Veleno.

Lo specchio continua a incrinarsi.
Ogni parola rivoltami da colpi a questa maschera fragile. Una parte di me che avevo già ristretto, che ho tenuto esposta solo ad alcuni, viene ora percossa con violenza, con rivelazioni, con verità sporche, impure, taglienti. Mi sento destinatario di confessioni dolorose in cui partecipo, personaggio involontario di un triste spettacolo teatrale in cui faccio la comparsa inconsapevole. Colui che alla fine del primo atto viene pugnalato alla schiena, mentre il pubblico è distratto, mentre il sipario su di lui cala.





Conoscevo un limite.
Limiti, sponde che delimitano spazi. Spazi chiusi, enormi ma finiti. Argini a fiumi sempre troppo violenti.
Conoscevo un uomo. Si chiamava Max.
Aveva l'anima chiara, aveva un cuore sempre esposto, aveva la mente sempre calma.
Aveva idee ferme, limiti che fermavano ombre, aveva speranza e pazienza. Aveva comprensione. Aveva certezze.
Ora conosco un uomo. Si chiama Max.
Ha veleno. Ha Rabbia. Ha limiti valicati. Argini distrutti. Ha porte chiuse. Ha incertezza, ha dolore, ha caos.
Ha ombre che divorano luce, ha radici scarlatte che segnano il bianco.
Ha disprezzo. Intolleranza. Indifferenza.
Ha veleno.




Max. Oggi Veleno. E anche in futuro.

venerdì 24 aprile 2009

Point of View

“Quello che devi considerare” dice, “è la possibilità che tu a Dio non sia simpatico. Potrebbe essere che Dio ti odi. Non è la cosa peggiore che ti può capitare.”
Il modo in cui la vedeva Tyler era che attirare l’attenzione di Dio per essere stati cattivi era meglio di non ottenere attenzione per niente. Forse perchè l’odio di Dio è meglio della sua indifferenza.
Se tu potessi essere o il peggior nemico di Dio o niente di niente, cosa sceglieresti?
Noi siamo i figli di mezzo di Dio, secondo Tyler Durden, senza un posto speciale nella storia e senza speciale attenzione.
Se non otteniamo l’attenzione di Dio non abbiamo speranza di dannazione o redenzione.
Che cos’è peggio, l’inferno o niente?
Solo se veniamo presi e puniti possiamo essere salvati.

“Brucia il Louvre” dice il meccanico, “e pulisciti il culo con la Gioconda. Almeno così Dio saprà come ci chiamiamo.”
Più in basso cadi, più in alto volerai. Più lontano corrì, più Dio ti rivuole indietro.

Fight Club, C. Palahniuk


Alla fine si riconduce tutto a questioni di punti di vista.

Sbaglierò, forse, a dire che gli sbagli non esistono, che il peccato non esiste, e che, alle volte, anche la verità è propriamente solo un punto di vista.
Una prospettiva angolare, una visione laterale e soggettiva di un susseguirsi di unici eventi che ognuno di noi analizza e elabora a suo modo. Anzi, mi correggo.. a sua convenienza e preferenza.
Creiamo grattacieli da cui vedere un mondo che nemmeno conosciamo, per cercare di guardare dentro di noi.
Costruiamo argini per difenderci dalle nostre paure più incoscie.
Eleviamo torri immense per abbattere Re e Regine degli scacchi.
Ideiamo Dei a cui aggrapparci nella sofferenza, dimenticare nella gioia e distruggere nel dolore. Idee di fede per cui limitiamo i nostri pensieri, le nostre azioni. Mutiliamo possibilità di vita.
Tutto sotto il concetto di giusto e sbagliato. Di puro o peccato. Bianco o Nero.
Il grigio non è contemplato. I colori non esistono.

E io vi chiedo, se sbagliate con l'intenzione di compiere un'azione sbagliata, essa rientra nella vostra prospettiva del giusto? E se tale decisione è inconsapevole?
Ognuno di noi si muove nel proprio bene, sia esso portatore di fini sconosciuti. Non consideriamo possibilità fuori dal nostro raggio di pensiero, di azione, di conoscenza. Le escludiamo, le marchiamo come negazioni, poichè non nostre.
Nella propria versione dei fatti nessuno fa mai la parte del cattivo.

Chiamatela prospettiva, chiamatela relatività, chiamatela come volete. La questione è che tutti abbiamo ragione e tutti abbiamo torto.
Qualsiasi decisione tu prenda, qualsiasi cosa tu dica è sia giusta che sbagliata. E' menzogna e verità. Alla fine dei conti sono solo parole, scritte o raccontate, in mille lingue e fonemi, milioni di tratti e caratteri. Simboli.
Pecchiamo con intenzione di gustarci il peccato. Mentiamo perchè la verità crea dolore. Sbagliamo perchè ci piace sbagliare. Perchè vogliamo.


Io voglio sbagliare. Perchè gli sbagli non esistono.

Max. Oggi molto Jack.

Img: Deviantart.com

lunedì 20 aprile 2009

Icaro.

Spicco il salto, vedo le nuvole sopra di me. Mi sembrano bellissime.
Sono proprio come piacciono a me. Soffici. Bianche.
Le voglio. Le desidero.

Gli occhi mi si chiudono a forza, quasi spinti da qualcosa o qualcuno molto più forte di me. Oppongo una resistenza estrema. Serve a ben poco.
Porto la mano alla fronte in un gesto di naturale banalità e lo sguardo, fino a poco prima spento, si focalizza in alto. Oltre le nuvole. Oltre il cielo. Oltre il tempo.
Mi abbaglia come se volesse chiamarmi a sè. Incessante richiamo di calore quasi umano, bruciante di vita. Sento sulla mia pelle il tocco, sulle labbra l'ardente sapore, negli occhi il desiderio.
Le mie ali vibrano con forza, sbattono al ritmo di un danza tribale. Veloci. Più veloci.
Mi lascio le nuvole alle spalle, ne trapasso il candore. Lo evito.Sposto con gesti bizzarri, goffi, quell'inutile ed eterea massa che mi distanzia da lei.
Al Diavolo le nuvole.

Il calore è estremo, lo sento percorrermi la schiena, strisciarmi sulle scapole, afferrarmi al collo in un abbraccio sensuale e letale. La sua voce silenziosa mi urla nella testa.
Non vedo più nulla, solo luce.
Sono ancora troppo lontano.
Le ali fanno male. Urlano e strepitano il loro grido meccanico al mondo. Non dargli ascolto, è solo perchè sono invidiose di ciò che vuoi.
Il desiderio è forte, la paura lascia il posto al fremito. La volontà non è più la mia.
Lei è lì. Non la vedo. Ho perso la percezione del mondo già da un po'.
Lei è lì. La sento. E' ustione chimica sulla pelle.
Lei è lì. Il suo esistere mi sconvolge e vibro dentro. Corde che si spezzano.
Allungo la mano. Il braccio teso sembra pesare come il mondo intero, i tendini son cavi e i muscoli argilla. Apro le dita, le muovo, cerco di afferrarla.
Digrigno i denti, quasi se fosse un modo per aumentare la speranza. Un modo per avverarla.

E poi luceluceluceluceluceluce. Nera.




Le rivedo mentre riapro gli occhi. Le vedo a tratti. A pezzi.
Minuscoli frammenti di ciò che mi sorreggeva. COriandoli di quelle ali che ho fatto soffrire. Le vedo inoltrarsi in quelle nuvole che ho tanto disprezzato, troppo leggere per sostenermi, troppo belle per non notarle. Le vedo divertirsi.
Ora volano davvero, non con me.
Ora il vento non mi sorregge, mi spinge in basso, mi ripudia. Capisco il suo disgusto.
Cerco di guardare in alto alla ricerca di ciò che mi ha condotto qui, e la vedo lontana, quella stella che ho desiderato, quel sole caldo. Ho tentato di raggiungere ciò che non potevo, ho cercato di averla, di toccarla, di sfiorarla.
Abbandono la testa e il corpo al movimento convulso che sta prendendo, rapida discesa verso.. verso cosa?
Lo sguardo volgo al mondo. Riempo gli occhi di verde sincero, d'azzuro lieve e di rosso. Inondo la vista di emozioni, di sensazioni, di immagini già viste ma sempre nuove, sempre splendide. Vita passata di un presente vissuto in maniera incompleta, vissuto a cercare qualcosa di inutile, di superfluo, rigettando il mondo accanto a me. Rifiutando la vita, la felicità.

Ora sorrido. Non l'avevo ancora fatto dal mio salto nel vento. Ma ora sorrido con serenità.
Allargo le braccia e accolgo quel mondo che avevo abbandonato, ora troppo vicino, troppo violento, Troppo. Non merito Nulla.

Perchè sono destinato a soffrire.

Max, che è sempre troppo Icaro.

Immagine: Deviantart.com